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50 | IL FILOSTRATO |
LVI.
Sorrisse allora Pandaro, e rispose:
Io tel dirò, dappoi che ’l vuoi sapere;
L’altrieri essendo in quiete le cose
Per la tregua allor fatta, fu in calere
A Troilo, ch’io con lui per selve ombrose
M’andassi diportando; ivi a sedere
Postici, a ragionar cominciò meco
D’amore, e poi di lui a cantar seco.
LVII.
Io non gli era vicin, ma mormorare
Udendol, ver di lui mi feci attento,
E per quel ch’io mi possa ricordare,
Ad amor si dolea del suo tormento,
Dicendo: signor mio, già mi si pare
Nel viso e ne’ sospiri ciò ch’io sento
Dentro del cuor per leggiadra vaghezza,
La qual m’ha preso colla sua bellezza.
LVIII.
Tu stai colà dov’io porto dipinta
L’imagine che più ch’altro mi piace;
E quivi vedi l’anima che vinta
Dalla folgore tua pensosa giace;
La qual la tiene intorno stretta e cinta,
Chiamando sempre quella dolce pace,
Che gli occhi belli e vaghi di costei
Sol posson dar, caro signore, a lei.