Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo II, 1831.djvu/225

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SOPRA DANTE 221

tigli a Dino di messer Lambertuccio: non so a quale io mi debba più fede prestare, ma qual che di questi due si dica il vero o no, mi occorre nelle parole loro un dubbio, il quale io non posso in maniera alcuna solvere che mi soddisfaccia: e il dubbio è questo. Introduce nel sesto canto l’autore Ciacco, e fagli predire, come avanti che il terzo anno dal dì che egli dice finisca, convien che gaggia dello stato suo la setta, della quale era Dante, il che così avvenne; perciocchè come detto è, il perdere lo stato la setta bianca, e il partirsi di Firenze fu tutto uno; e però se l’autore si partì all’ora premostrata, come poteva egli avere scritto questo? E non solamente questo, ma un canto più. Certa cosa è, che Dante non avea spirito profetico, per lo quale egli potesse prevedere e scrivere: e a me pare esser molto certo, che egli scrisse ciò che Ciacco disse poichè fu avvenuto: e però mal si conformano le parole di costoro con quello che mostra essere stato. Se forse alcun volesse dire, l’autore dopo la partita de’ bianchi esser potuto occultamente rimanere in Firenze, e poi avere scritto anzi la sua partita il sesto e il settimo canto, non si confà bene con la risposta fatta dall’autore al marchese, nella qual dice, sè aver creduto questi canti con le altre sue cose essere stati perduti, quando rubata gli fu la casa; e il dire l’autore aver potuto aggiugnere al sesto canto poichè gli riebbe, le parole le quali fa a dire a Ciacco, non si puon sostenere, se quello è vero che per i due superiori si racconta, che Dino di messer Lambertuccio n’avesse data copia a più suoi amici; perciocchè pur n’apparirebbe