Pagina:Boccaccio - Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri di Giovanni Boccaccio nuovamente corretto sopra un testo a penna. Tomo II, 1831.djvu/226

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222 COMENTO DEL BOCCACCI

alcuna delle copie senza quelle parole, o pur per alcuno antico, o in fatti o in parole alcuna memoria ne sarebbe. Ora come questa cosa si sia avvenuta o potuta avvenire, lascerò nel giudicio de’ lettori, ciascuno ne creda quello che più vero o più verisimile gli pare.

Tornando adunque al testo dice, Io dico seguitando, alle cose predette, ch’assai prima, Che noi, cioè Virgilio e io, fossimo appiè dell’alta torre, alla quale nella fine del precedente canto scrive e che pervennero, Gli occhi nostri n’andar, riguardando, suso alla cima, cioè alla sommità della torre predetta: e appresso dimostra la cagione, perchè gli occhi verso la cima levarono, dicendo, Per due fiammette, cioè piccole fiamme, che vedemmo porre, in su quella sommità della torre. E un’altra, fiamma, di lungi, da questa torre, render cenno, siccome far si suole per le contrade nelle quali è guerra, che avvenendo di notte alcuna novità, il castello o il luogo vicino, al quale la novità avviene, incontanente per un fuoco o per due, secondochè insieme posti si sono, il fa manifesto a tutte le terre e ville del paese; e dice che questo cenno d’una fiamma fu renduto di lontano,

Tanto, ch’a pena il potea l’occhio torre,

cioè discernere altro: ma pure poichè tolto l’ebbe, dice: Ed io mi volsi al mar, cioè all’abbondanza, di tutto il senno, cioè a Virgilio, del quale nel principio del canto precedente dice,

E quel savio gentil, che tutto seppe:

e seguitai, Dissi: questo, che dice? cioè che signi-