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264 | COMENTO DEL BOCCACCI |
vedea, ch’al passo, di Stige, dove esso era passato nella nave di Flegias,
Passava Stige con le piante asciutte,
cioè senza immollarsi i piedi, E poi segue,
Dal volto rimovea quell’aer grasso,
per i fummi e per le nebbie che v’erano, le quali hanno a fare l’aere grosso e spesso, Menando la sinistra, mano, perciocchè nella destra portava una verga, siccome appresso si comprende, innanzi, da sè, spesso: e in questo dimostra l’autore quello aere grasso dovergli essere assai noioso; e ciò non ci dee parer maraviglia, considerando chi egli era, e onde venia,
E sol di quell’angoscia parca lasso,
stanco e vinto.
Ben m’accorsi, ch’egli era da ciel messo:
e di questo s’accorse quando più gli fu vicino; presumendolo ancora per l’anime de’ dannati, che nel venir suo fuggendo si nascondevano, siccome quelle che temevano di maggior pena, o che avevano in orrore di riguardarlo siccome nemico; o ancora per lo fracasso, il quale davanti a lui avea sentito venire, per lo qual potè conoscere tutto l’inferno commuoversi alla venuta d’un messo di Dio: e perchè egli conobbe questo dice, E volsimi al maestro, per sapere quello che io dovessi fare appressandosi questo messo da cielo, e quei, cioè il maestro, fe’ segno, a me, Ch’io stessi cheto, passando egli, ed inchinassi ad esso, facendogli reverenza.
Ahi quanto mi parea pien di disdegno!
nello aspetto suo: e questo meritamente, perciocchè,