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LIBRO TERZO | 95 |
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Levossì Palemon, che già l’udiva
Con più dolcezza che quel non credea,
E con lui insieme alla finestra giva,
Cheti amenduni, per veder la Dea:
La qual come la vide, in boce viva
Disse: per certo questa è Citerea:
Io non vidi giammai sì bella cosa
Tanto piacente nè sì grazïosa.
15
Mentre costoro sospesi, ed attenti
Gli occhi, e gli orecchi pur verso colei
Fisi tenendo, facevan contenti,
Forte maravigliandosi di lei;
E del perduto tempo in lor dolenti,
Passato pria senza veder costei,
Arcita disse a Palemon: discerni
Tu ciò ch’i’ veggio ne’ begli occhi eterni?
16
Che è egli? rispose Palemone.
Arcita disse: i’ veggio in lor colui
Che già per Dafne il padre di Fetone
Fedì, se pur non erro, ed in man dui
Strali dorati tiene, e già l’un pone
Sopra la corda, e non rimira altrui
Che me: non so se forse e’ gli dispiace
Ch’i’ miri questa che tanto mi piace.