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118 | LA TESEIDE |
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Passò i cieli allor quella preghiera,
E seguì tosto d’Arcita l’effetto;
Che quel giglio novel di primavera
Sopra un balcone appoggiata col petto
Sen venne a star con una cameriera,
Mirando il grazïoso giovinetto
Che in esilio dolente se n’andava,
E compassione alquanto gli portava.
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Ma esso dopo il prego alzò il viso,
Incerto del futuro, e vide allora
L’angelico piacer di paradiso:
Per che disse con seco: omai se fuora
Di qui mi to’, fortuna, egli m’è avviso
Non poter male avere: e quindi ancora
La riguardò, dicendo: anima mia,
Piangendo senza te me ne vo via.
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E così detto, per fornir la imposta
Fattagli da Teseo, a cavalcare
Incominciò; ma dolente si scosta
Dal suo disio: il qual quanto mirare
Potè, il mirò, pigliando talor sosta,
Vista facendo di sè racconciare:
Ma non avendo più luogo lo stallo,
Uscì piangendo d’Atene a cavallo.