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132 | LA TESEIDE |
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Fra sè dicendo: i’ son sì trasmutato
Da quel ch’esser solea, che conosciuto
I’ non sarò, e vivrò consolato,
Me ristorando del male ch’ho avuto,
Vedendo il bell’aspetto ove fu nato
Il disio che mi tiene ed ha tenuto:
E s’al servigio di Teseo potessi
Esser, non so che poi più mi chiedessi.
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Se forse è sì crudel la mia ventura
Ch’i’ sia riconosciuto, e’ m’è il morire
Più grazïoso che vita sì dura
Com’io fo, e sempre mai languire:
E poi su tal proposta si assicura,
E si dispon del tutto a ciò seguire;
E mill’anni gli par che quello sia,
Tanto vedere Emilia egli disia.
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E’ non tardò di mettere ad effetto
Cotal pensiero, anzi commiato prese,
E in ver di quella navicò soletto,
E in pochi giorni lì giunto discese
In maniera di povero valletto,
E in Atene con tema si mese:
E acciò ch’egli Emilia vedesse,
Stette più dì nè fu chi ’l conoscesse.