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148 LA TESEIDE


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Ed essa, oimè, del mio grave tormento
     Nulla si cura, nè pensa este cose;
     Sicchè io servo vie peggio che al vento,
     E stonne sempre in pene dolorose:
     Ed or mi avesser sol fatto contento
     D’un bel guardarmi le luci amorose,
     Ma tu, crudel Fortuna, mi ci nuoci,
     Ch’oguor con nuovo fuoco e più mi cuoci.

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Di tanto sol seconda mi se’ stata
     Che ’l nome mio hai ben tenuto cheto,
     Ed haimi ancor tanta grazia donata,
     Che al servir m’hai fatto mansueto,
     E di Teseo la grazia mi hai prestata,
     Di che io son venuto molto lieto:
     Ma tutto è nulla, s’Emilia non fai
     Che come io l’amo conosca oramai.

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Io ardo e incendo per lei tutto quanto,
     Nè dì nè notte non posso aver posa,
     Ma mi consumo in sospiri ed in pianto,
     Nè mi può confortare alcuna cosa,
     Se non Emilia, cui io amo tanto,
     Mostrandomi la sua faccia amorosa,
     Dalla qual morto, lei mirando vita
     Riprendo, tanto speranza m’aita.