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LIBRO QUINTO | 153 |
8
Poi disse: Panfil, guarda che non sia
Sentito da nessun ciò che m’hai detto:
Che posto ch’egli a me per gelosia
Senza colpa di lui mi sia sospetto;
Per uscir di prigione, in fede mia,
Io non vorrei ch’egli avesse difetto:
Se gl’iddii l’aman più che me non fanno,
Abbiasi il pro, e mio si sia il danno.
9
Poi cominciò a pensar fortemente
Sopra l’affar d’Arcita innamorato;
E crede che d’Emilia veramente
Il lieto amore egli abbia guadagnato:
E poscia dice: oimè lasso, dolente,
In che mal punto nel mondo fu’ nato?
Ch’io amo, e sto in prigione, e altri face
Quel ch’io facendo poria sentir pace.
10
Ed or mi fosse un poco di speranza
Riraasa, o mi venisse dell’uscire
Di questo loco, mi crederrei, sanza
La doglia che io ho, gioia sentire;
Ed ancora la mia somma intendanza
Senza alcun fallo crederrei fornire:
Ma sì m’è gran nimica la fortuna,
Ch’i’ n’uscirò quando starà la luna.