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154 | LA TESEIDE |
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E s’io di quinci uscissi per ventura,
D’Arcita converria che io sapesse,
Su buon cavallo con forte armadura,
Quel che tra lui e me esser dovesse
Dell’amor della nobil creatura,
Che mi fa sentir pene così spesse:
E fermamente ella mi rimarrebbe,
O sopra il campo l’un di noi morrebbe.
12
Ma come avrei ardire contro a lui,
Che per uscirci giammai non tentai?
Ed el non cura lo star con colui
Ch’è suo nimico per vederla, e mai
Non ha posato di servire altrui
Per servir lei? Ed io per trarre guai
Ho speso il tempo, ove dovea piuttosto
Voler morir che tanto star nascosto.
13
E siccome Tesifone, chiamata
Dal cieco Edippo nell’oscura parte,
Dov’egli lunga notte avea menata,
A’ due frate’ del regno con sua arte
Mise l’arsura; così in lui è entrata
Con quel velen che ’l suo valor comparte
D’Emilia aver, dicendo: signoria
Nè amore sta bene in compagnia.