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LIBRO SETTIMO | 247 |
107
Nè sa chi venga, nè qual’e’ si sia,
Ma di fremente orribili segni
Riceve nella mente, che disia
Di non avere a ciò tesi gl’ingegni:
E ’l mormorar che sente tuttavia
Con cieca cura in sè par che disegni;
Per quel talora sua pena alleggiando,
Ed ancora tal volta più gravando.
108
Poco era fuori della terra sito
Il teatro ritondo, che girava
Un miglio, che non era meno un dito:
Del quale un mur marmoreo si levava
Inverso il ciel sì alto e con pulito
Lavor, che quasi l’occhio si stancava
A rimirarlo, ed aveva due entrate,
Con forti porte assai ben lavorate.
109
Delle quali una in verso il sol nascente
Sopra colonne grandi era voltata,
L’altra mirava in verso l’occidente,
Come la prima appunto lavorata:
Per questa entrava là entro ogni gente,
D’altronde nò, chè non vi aveva entrata:
Nel mezzo aveva un pian ritondo a sesta,
Di spazio grande ad ogni somma festa.