Pagina:Boccaccio - La Teseide di Giovanni Boccaccio nuovamente corretta sui testi a penna, 1831.djvu/281

Da Wikisource.

LIBRO OTTAVO 263


8


E’ si sostenner, nè poter passare
     Oltre fra lor, ma rincularsi indietro
     Per le percosse: e qual siccome fare
     Suol raggio in acqua percosso od in vetro,
     Che riflettendo, i raggi fa tornare
     Subitamente per lo cammin retro;
     E’ vigorosi spronar li destrieri,
     In sè tornando gli arditi guerrieri.

9


Nè credo quando più la fucina arse
     Di Vulcan nera ne’ regni sicani,
     O quando maggior fummo fuori sparse,
     Tale il facesse qual salivan vani
     Vapori al ciel, i qua’ dalle riarse
     Terre n’uscian dalli cavalli strani
     Premute, e dalle nari e da’ sudori
     Mossi degli spumanti corridori.

10


Nullo d’intorno alcun di lor vedea,
     Se non come per nebbia ne’ turbati
     Tempi si vede; e l’un non conoscea
     L’altro di loro, e gran colpi donati
     Erano indarno, che ciascun credea
     Dare a color cui avieno scontrati:
     Perchè Arcita, Pegaso a gridare
     Cominciò forte, e’ suoi a confortare.