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LIBRO OTTAVO | 273 |
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Quando l’Arcado Evandro di lontano
Di tai campion si vide rimanere
Sol, quasi l’ira il fe’ tornare insano;
E senza più di sua vita temere,
La bella spada recatasi in mano,
In ver Sicheo corse, e con potere
Sommo gli fece da presso sentire
Come sapeva di spada fedire.
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Ben si difese il giovinetto accorto,
E ben l’ataro i suoi arditamente,
Tal che Narizio Lesbio vi fu morto,
E ben battuta d’una e d’altra gente;
Ma alla fine Evandro bene scorto,
Abbracciato Sicheo fortemente,
Giù del cavallo il voleva tirare,
Nè ’l potean colpi da lui separare.
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Tenevasi Sicheo, ed abbracciato
Aveva lui, e in qua e ’n là correndo
Givan, ciascun dal suo destrier menato:
Ultimamente ciascun pur tenendo,
Fu dal cavallo in tal modo portato,
Ched e’ votaron gli arcioni, e cadendo
Si magagnaron di maniera tale,
Che più non fero il dì nè ben nè male.
bocc. la teseide | 18 |