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382 LA TESEIDE


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Poi fu la sommità di quella pira
     D’un drappo in ostro tirïo con oro
     Tinto coperta, a veder cosa mira,
     Sì pel valore e sì per lo lavoro:
     E questo fatto, indietro ognun si tira,
     E con tacito aspetto fa dimoro,
     Quegli attendendo che dovean venire
     Col morto corpo a tal cosa finire.

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Ogni parte era già piena di pianto;
     E già l’aula regia mugghïava,
     Tale che di lontan bene altrettanto
     Nelle valli Eco trista risonava:
     E Palemone di lugubre manto
     Coperto nella corte si mostrava
     Con rabbuffata barba e tristo crine,
     E polveroso ed aspro senza fine.

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E sopra ’l corpo misero d’Arcita
     Non men dolente Emilïa piangea,
     Tutta nel viso palida e smarrita,
     E’ circostanti più pianger facea:
     Nè dal corpo poteva esser partita,
     Con tutto che Teseo gliele dicea;
     Anzi parea che suo sommo diporto
     Fosse mirare il suo Arcita morto.