Pagina:Boccaccio - Ninfale fiesolano di Giovanni Boccaccio ridotto a vera lezione, 1834.djvu/113

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parte quinta 107

XXXIX.

Qual torre fu giammai sì ben fondata
     In su la terra, ch’essendo ella suta
     Da tanti colpi percossa e scalzata,
     Poi non si fusse piegata o caduta?
     O qual fu quella mai sì dispietata,
     Col cor d’acciaio che non fusse arrenduta
     Per le lusinghe d’Affrico e al baciare,

     Che arebbon fatto le montagne andare?

XL.

Mensola che d’acciaio non avea il core,
     S’era gran pezzo scossa e ancor difesa,
     Ma non potendo alle forze d’Amore
     Resister, fu da lui legata e presa;
     Ed avendo ella il suo dolce sapore
     Prima assaggiato con alquanto offesa,
     Pensò portar quel poco del martire

     Mescolato con sì dolce disire.

XLI.

E tant’era la sua simplicitade,
     Che non pensò che altro ne potesse
     Addivenir, come quella che rade
     Fiate, o forse mai nessuna, avesse
     Giammai udito per qual dignitade
     L’uom si creasse, e poi come nascesse:
     Nè sapea che quel tal congiugnimento
     Fosse il seme dell’uomo e il nascimento.