Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. II, 1948 – BEIC 1771928.djvu/145

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che ne sono stati cacciati o che migliori ragioni vi pretendono di lui, come anco meco ogni uomo poco intendente delle cose del mondo non confesserá che, non esecuzione di animo fiero, ma mera necessitá di politica ragion di Siato mi violentò a cosi severo mostrarmi verso il sangue di Augusto, perché prudentemente crudele è il prencipe, quando, come lo stesso Tacito ha detto, egli corre «periculum ex misericordia » (’)? Oltre di ciò le spesse uccisioni, che io e che dopo me comandarono gl’ imperadori contro i piú segnalati soggetti del senato romano, non alla nostra crudeltá, come iniquamente dicono quei che ora mi perseguitano, ma all’imprudente superbia di quei senatori si debbe imputare, i quali, tuttoché vedessero la libertá sbandita dalla patria loro, con la superba cervicacia nondimeno di non mai voler vestirsi la toga dell’umiltá, anzi con la sciocca ostinazione di voler nella servitú parlar libero e comandare nella soggezione, ogni giorno piú irritavano il prencipe ad usar contra ingegni di tanta superbia ogni sorte di fierezza e di immanitá. Quindi è, sire, che né Tacito né Dione né Tranquillo né altro qualsivoglia scrittore delle cose mie giammai ha potuto raccontare che io sia incrudelito contro cittadino alcuno o altro soggetto della plebe romana e delle province, mercé che non mi diedero giusta cagione di sospetto; ma solo quello hanno detto, che confesso verissimo, che io affliggeva la nobiltá piú insigne del senato romano: cosa che io faceva per invilirla, per ispaventarla, per renderla tra essa diffidente, disunita, e per indurla a ricever tutta quella servitú, che io mi avvedeva che ella sommamente aveva in orrore. Né altri trattamenti di questi politico alcuno può insegnarmi che buoni sieno ad esser praticati verso la nobiltá di quello Stato, dal quale poco prima essendo stata cacciata la libertá, non solo non vuol accommodare il genio alla servitú, ma pazzamente pretende di limitar al prencipe l’autoritá di comandare, e che nella servitú ritiene la superbia di uomo libero e l’animo arrabbiato di vendicar, con buona occasione, l’offesa

(i) Tacito, libro ili delle Istorie [cap. 66 ].