Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/215

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il principato; ché invero non posso ricordarmi senza particolarissima afflizion d’animo, che ad alcuni dignissimi e onoratissimi senatori il voler parlar liberamente e col solo zelo della pubblica utilitá, per non curarsi di tali dipendenze, ha servito per oppression loro, per escluderli affatto dal principato. — Fino nelle piú intime parti del cuore del duce de’ Laconici penetrarono le parole di Apollo, i consegli del quale cosi veri conobbe, che con abbondanza grande di lacrime disse a Sua Maestá: — Degno dell’alta providenza di lei è il conseglio che mi dá ora, ma i mali degli abusi dello Stato mio tant’oltre sono trascorsi, che la grandezza dell’infermitá non è piú capace di cosi salutifera medicina, perché alcuni duci miei predecessori, dal pessimo governo de’ quali riconosco i presenti mali, per lasciar al sangue loro appoggi grandi e altri per inezia, avendo permesso prima cose tali e conceduto poi a prencipi stranieri, notoriamente o nemici o mal affetti verso lo Stato mio, che, a guisa di una infelicissima casa a pigione, «nulla in posterum cura», solo hanno atteso a «lacerare ímperium» (0. — A queste cose replicò Apollo che i prencipi risoluti, i quali cosi caramente amavano i principati elettivi come se fossero ereditari e che anche contro i loro proprii commodi avevano cuore di saper fare le generose risoluzioni, quello solo non potevano che non volevano; e che colui ch’altrimenti diceva, all’impotenza imputava la sua dappocaggine o la sua malizia. Al serenissimo prencipe d’ogni virtú arditamente rispose [il] duce: — Confesso d’esser un vilissimo coniglio, ma resti servita Vostra Maestá di assicurarmi della fedeltá di quei servidori, i quali hanno in loro potere la mia vita, ché in porre in esecuzione quanto ella mi ha ricordato mi mostrarò un generoso leone; ma la somma di tutti i mali del mio principato è che il prencipe di Macedonia, quello dell’Epiro e altri ancora, i quali habent «promptum ad asperiora íngeníum» b) ( j n modo alcuno non vogliono veder vivo

(1) [Tacito, nel libro III delle Storie , cap. 55]

(2) [Tacito, ntl libro I degli Annali, cap. 29.]