Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/232

Da Wikisource.

RAGGUAGLIO LXXVI

[Giunge in Parnaso il prencipe d’Agamonte e chiede vendetta delle crudeltá contra di lui operate dal duca d’Alva, ma Apollo gli risponde esser quella ingiuria giá largamente vendicata.]

Perché i signori letterati fiamminghi di questa corte tre giorni sono per staffetta spedita loro da Pafo ebbero avviso certo della venuta in Parnaso del loro dilettissimo Lamorale prencipe di Agamonte, lo fecero subito sapere ad Apollo, il quale per l’acquisto che faceva il suo Stato di quel segnalato personaggio mostrò segni di allegrezza tanto straordinari, che i letterati tutti oltramontani e gli altri virtuosi, per far cosa grata a Sua Maestá, andarono ad incontrarlo; onde cosi nobile prencipe con tanta pompa e applauso universale di tutta questa corte fu ricevuto in Parnaso, che Virgilio, Orazio e gli altri piú vecchi poeti dissero che nell’ingresso di Lamorale furono piú tosto superati che agguagliati gli onori, che nella medesima occasione furono fatti allo stesso Caio Mecenate. Apollo, come prima vide Lamorale, invaghitosi della gioconditá della faccia, della bellezza di tutta la persona di lui, per tosto abbracciarlo, contro tutti gli ordini del cerimoniale pegaseo, gli andò incontro alcuni passi; allora il prencipe, prostratosi avanti i piedi di Sua Maestá, con brievi ma però gravi parole raccontò prima la crudeltá usata contro lui nella sua vita, i ludibrii e gli scherni fatti alle sue membra da quel capitalissimo nemico della nazion fiamminga, il duca d’Alva; poi con voce e con gemiti cosi flebili, che mosse le lacrime in tutti i circostanti, tre volte gridò: — Vendetta!—Grande ammirazione diede anche all’istesso Lamorale, nonché a tutti i prencipi poeti che si trovarono con lui, il veder che la Maestá di Apollo s’infiammò di sdegno piú che grave, non giá, come credevano e desideravano tutti, contro il duca d’Alva, ma contro lo stesso Lamorale, al quale con volto