Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/234

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RAGGUAGLIO LXXVII

[Trifon Benci è punito per aver venduto maroni con la scorza.]

Trifori Benci, sommo cifarista della corte romana, fino dal primo giorno che egli fu ammesso in Parnaso, come è noto ad ognuno, con tanta felicitá si applicò al mestiere di vender le caldaroste, che in esso ha fatto guadagni tali, che, avendo ingrossata la sua mercanzia, nel cantone del fòro di Euterpe ha aperta bottega maggiore, dove all’ingrosso e a minuto vende i maroni, lasciando l’esercizio di spacciar le castagne ai caldarostari piú dozzinali ; e alcuni giorni sono da Matteo degli Afflitti, sommo giureconsulto napolitano, ora prefetto dell’annona in Parnaso, gli fu fatto precetto che i maroni fiorentini, romagnoli e di altre provincie vendesse cotti, crudi, allesso, arrosto, come meglio gli tornava, ma che i maroni spagnuoli solo vendesse cotti arrosto senza la scorza; e l’altro giorno occorse che il commendator Annibai Caro, di ordine di Apollo volendo compor una canzone in lode di Carlo Emanuele duca di Savoia per certa magnanima liberalitá, che quel gran prencipe avea usata verso un virtuoso, a fine di riscaldar la vena andò all’osteria di Francesco Copetta, famoso poeta perugino, per bevervi un mezzo di Falerno, e per destar la sete da Trifone comprò due baiocchi di maroni spagnuoli; e perché il Benci, contro il divieto che aveva, cotti glie li diede con la scorza, il Caro nel mangiarli li truovò quasi tutti guasti: il che dalle spie essendo stato riportato alla giustizia, il povero Trifone subito fu catturato e di ordine del prefetto prima gli furono date tre strappate di corda in pubblico e appresso gli fu detto che imparasse a sue spese a vender per l’avvenire mondi quei maroni spagnuoli, che di dentro quasi tutti essendo magagnati, altro non hanno di buono che la bella scorza lustra di fuori.