Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/246

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gli stessi Toscani non avevano parola di richiamar le voci che si partivano. Allora tutti i letterati chiaramente conobbero l’error loro e confessarono che troppo grand’ingiuria s’era fatta all’altre nobilissime provincie d’Italia a volerle sottoporre alla picciola Toscana: onde nel medesmo gran Conseglio fu proposto di nuovo il negozio, e poiché tutta Italia aveva mischiato il parlare e una provincia avea accomodate le sue voci all’altra, vedendosi di piú che gli Oltramontani anco nelle buone lettere non sdegnavano rinonziar il primato a quell’Italia alla quale cederono giá l’imperio dell’universo, concordemente fu risoluto che fosse chiamata lingua italiana; e ai Toscani, che faceano strepito, liberamente fu detto da quei virtuosi che, se avessero considerato che infiniti letterati di Bergamo, di Vinegia, di Milano, di Ferrara, fino di Calabria aveano scritto isquisitamente al paro di qualsivoglia autor toscano, si sarebbono dati pace. Ma non cessando gli Fiorentini di far rumori grandissimi, chiamando la sentenza nulla e notoriamente ingiusta, fu risoluto per quietarli che al decreto fatto si aggiungesse una clausola, che ogni volta che avessero trovato il modo di scrivere nelle carte la loro noiosa «gorgia», nella quale sono solamente differenti da’ Bergamaschi, da’ Veneziani e dagli stessi zanni della Voltolina, che parlano male e scrivono bene la polita lingua volgar con la quale scrivono e parlano gl’italiani, si chiamasse non solo toscana, sanese o fiorentina, ma fino da Poggibonsi.

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T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso - in.