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Ili

[Sommari e appunti per un trattato politico.]

1. —Se i popoli devono desiderare il prencipe immerso nella guerra o nella pace.

Il prencipe in tanto è buono in quanto la bontá gli serve a mantenersi lo Stato e teme senz’essa perderlo; oggi, in tanta corruzioné di costumi, nessuno o pochi sono i boni di loro natura, ma per loro interessi, per acquistar alcuna cosa; e, quando non hanno piú bisogno di nulla, obbediscono al genio loro. E quindi è che noi veggiamo ne’ prencipi nostri far tante violente mutazioni: Cosimo ed Enrico JII, perché uno peggiorò, avuti figliuoli e Siena e morto lo Strozzi, e l’altro avuta Francia; tali furono Tiberio e Nerone; e ad ogni altra cosa pensano i prencipi, fuor che sono stati fatti re da Iddio per ben governare. Ma le guerre gli mettono in dubbio lo Stato: fa che faccia conto, né si dia alle uccisioni di casa.

2. — Che anco per ragion di Stato deve qualsivoglia prencipe mostrarsi zelantissimo della sua religione, e quanto abbia errato il Macchiavelli circa questo particolare.

Vive un prencipe in Italia, il quale, per farsi formidabile al Papa, tiene strettissima amicizia con il duca di Sassonia, e con tutto ciò, arrivato ad una divozione tardi, che l’indulgenza era fornita, mandò fino in Roma, acciò dal Sommo Pontefice gli fosse data tale indulgenza. Carlo V, che avea fatto saccheggiar non dico tante altre cittá, ma le stesse chiese di Roma, udia due messe il giorno, cosi tornandogli conto.