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CARTEGGIO

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XXIII

A Francesco Maria II della Rovere.

Serenissimo signore,

l’ultimo fine di chi manda gli scritti suoi alla stampa senza dubbio alcuno è il far acquisto della pubblica lode e co’ suoi sudori comperar quella immortalitá al nome suo, per la quale gli uomini di genio onorato anco gli stenti piú insopportabili stimano soavissimi riposi. Questa ambizione tanto è onesta, che mi rendo certo che niuno con buona ragione potrá tassarmi ch’io, uomo di cosi oscuro nome, abbia ardito di presentare ad un prencipe della qualitá che è Vostra Altezza questi miei Ragguagli di Parnaso , perché, sotto metafora e scherzi piacevoli ragionandosi in essi dei piú scelti precetti politici e morali che altrui servino per ben governare i popoli, non ad altri piú convenientemente dovevo mostrarli, che a Vostra Altezza, per chiaro testimonio di ognuno vero maestro di quest’arte. Perché, quando mi contentassi che solo fossero veduti dai miei pari, benissimo conosco che commetterei lo sproposito di mostrar le pitture ai calzolai per aver da essi il giudizio sopra i colori. Mi è anco lecito sperare che Vostra Altezza non si recará a sdegno, che in due luoghi di questi miei scritti, che le invio, io abbia cercato di render chiaro il nome mio con lo splendore delle sue segnalate virtudi, delle quali sopra modo ho goduto di fare menzione, perché è privilegio di chi scrive il poter a sua voglia franciare, trinare, raccamare la vii giubba delle proprie vigilie con l’oro, con le perle e con le gioie delle gloriose virtudi degli eroi grandi, simili a lei. Prosperi Iddio lungo tempo la persona di Vostra Altezza, alla quale, facendo umilissima riverenza, divotamente bacio la mano.

Da Venezia, li 19 di ottobre 1612.

Di Vostra Altezza serenissima umilissimo e devotissimo servo Traiano Boccalini.