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TRADUZIONI

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quel conto, che egli meritava: ma ecco qua Parmenone. A Dio, olá, a Dio! Che si fa?

Parmenone. — Nulla. Ma perché state voi tutto di mala voglia? Perché siete tutto turbato in viso? Di donde venite?

Cherea. — Son tanto fuor di me, che non ti saprei dire né donde mi venga, né dove io vadia.

Parmenone.— Che vi è egli di nuovo?

Cherea. — Son innamorato, Parmenon mio.

Parmenone. — Olá ! Che dite voi ?

Cherea. — Ora è venuto il tempo di farmi conoscere chi tu sia. Ti ricordi tu che, quando io rubava da tavola del vecchio qualche cosa buona da mangiare e che la portava in camera tua, tu spesse volte mi dicesti: — Cherea, trovati qualche giovane che ti piaccia, ché ben in tal occasione ti farò conoscere quanto io ti possa giovare.

Parmenone. — Trovatela, su, sciocco che siete, e poi lasciate la cura del rimanente al vostro Parmenone.

Cherea. — Io ho di giá avanzato il tempo: però fa che dagli effetti appaino vere le tue promesse. E sai se il soggetto merita che tu vi ponga del buono ! Non ha punto che fare questa giovane, della quale ti ragiono, con queste vostre della cittá, le madri delle quali s’ingegnano che abbino picciole spalle, stretto petto e che siano tanto smilze in Centura che non hanno altro che ossa e pelle; e se pur alcuna ve ne è, che sia un poco grossetta, dicono che ella è troppo mastinaccia e che ha troppo del soldato, onde, per ciò scemandole il cibo, s’ella è di buona complessione la fanno, con questa lor stracca diligenza, divenir tanto debole, che sembra una mummia, onde non è meraviglia se non si trova pur un cane che guardi lor dietro.

Parmenone. — Come è dunque fatta cotesta vostra?

Cherea. — Un’aere di volto non piú veduto.

Parmenone. — Buono forse?

Cherea. — Dio te lo dica per me. Un color vivo e proprio di rose, un corpicino, Parmenon mio, grossetto e tondetto come un beccafico, pieno di suco e di sapore.