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SCENA SETTIMA
Trasone, Gnatone, Sanga, Cremete e Taide.
Trasone. — Che il capitan Trasone abbia mai a comportare, che da una sbudellata vacca e da un sbarbatacelo gli sia fatto cosi solenne incarco nell’onore? Non vorrei che Alessandretto da Parma lo risapesse, per tutto l’oro del mondo; piuttosto voglio esser tagliato a pezzi ! Simalio, Donace, Sirisco, seguite l’insegna! Alto tutti! Primieramente, a marcio dispetto di quella sfondata, le entrarò in casa per forza.
Gnatone. — Buono.
Trasone. — Le caverò la giovane dagli occhi.
Gnatone. — Meglio.
Trasone. — E la caricherò di bastonate.
Gnatone. — Buonissimo.
Trasone. — Passa qua, Donace: abbi cura dello squadron di mezzo: tien in punto questa trave da mandarle in polvere d’orologi quella porta. Tu, Simalio, sta qua nel destro corno e tu, Sirisco, guarda bene il sinistro. Olá, o scornatacci, e dove son gli altri, da far le maniche agli squadroni e por in ordine la retroguardia? Dov’è il capitan Sanga, tagliacarne, con la sua compagnia da Monte Rampino ?
Sanga. — Eccolo qua, signore.
Trasone. — Oh, vigliacco ! Che arma è questa? Ti pensi tu combattere col strofinacciolo delle padelle?
Sanga. —Io, che conosco benissimo il valore del capitano e la bravura de’ soldati, sapendo che questo assalto non si potrá dar senza sangue, l’ho portato per nettar le ferite.
Trasone. —Gli altri dunque dove sono rimasti?
Sanga. — Che diavol’altri? Non è rimasto altro che Sannio e la gatta alla guardia di casa.
Trasone. — Orsú, che supplirá la vertu del capitano Trasone, ove mancano i soldati. Tu, Gnatone, che ti fo sergente maggiore, metti in fila costoro, e io starò qua, di dietro allo
T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso - ni.
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