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TRADUZIONI

Taide. — E che cosa avevi fatta, che temevi di esser raccusato ?

Cherea. — Un peccatuccio.

Pizia. — Oh, sfacciato! Ti par dunque che sia un peccatuccio toglier l’onor ad una vergine, e cittadina, che piú importa?

Cherea. — Io mi credei che fosse serva, come le altre di vostra casa.

Pizia. — A fatica mi ritengo, ch’io non mi ti getti co’ denti al naso: ancora ha ardire, questo temerario, di venir da sé a darci la burla sopra mercato.

Taide. — Taci tu, bevati di qui, pazza che sei.

Pizia. — Perché volete eh’ io mi lievi di qui, quasi che me ne andarebbe gran pena se ’l facessi, massime confessando questo impiccataccio di esser vostro servidore.

Taide. — Or lasciamo andar da canto gli scherzi, signor Cherea: il poco rispetto, che vi è piaciuto portarmi, e la molta ingiuria, che avete fatta a me e a chi non sapete voi, mi sforzano a dirvi che non avete fatta cosa degna della nobiltá vostra e, sebbene lo stato nel qual mi vedete mi può far parer a voi degna di una tal ingiuria, con tutto ciò l’onor vostro e lo sviscerato amor che porto al signor Fedria, vostro fratello, quando però mi sia lecito por questo ardente amor mio verso lui in luogo di merito, richiedeano che voi non la mi faceste; e certo cosi Iddio mi mantenga il mio Fedria sempre amorevole, come io non so piú che partito pigliarmi di questa giovane, e in modo tale mi avete rotti i miei disegni, che non posso piú restituirla a’ parenti, tale quale io estremamente desiderava e volea il dovere, acciò con questo notabile beneficio mi facessi obbligati in perpetuo tutti e’ parenti della giovane.

Cherea. — L’error mio, Taide bellissima, non voglio altramente, come potrebbe, che sia scusato dalla etá nella qual mi vedete, né dalla bellezza di Pámfila, né dalla commodissima occasione, che la mia buona fortuna mi ha posta per le mani, di venir in casa vostra. Son degno di tutte quelle