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TRADUZIONI

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SCENA SECONDA Cherea, Taide e Pizia.

Cherea. — Giunto che fui a casa di Antifone, trovai appunto nella porta il padre e madre di lui, e’ quali parea che a bello studio vi stessero, acciò non potessi entrar dentro senza che mi vedessero; di modo che non ho potuto cavarmi ivi questi panni e, mentre me [ne] sto cosi irresoluto, un certo amico mio che mi conosce mi scuopre e mi si fila dietro; io, come lo vidi, mi posi in fuga e arrivai in un vicolo non molto praticato, e d’indi in un altro, e poi dinuovo in un altro, di sorte che, col tanto fuggir di qua e di lá acciò alcuno non mi raffigurasse, mi son stancato tanto, che a fatica mi posso reggere in piedi. Ma questa donna, che veggio cosi bella nella porta di Taide, sarebbe mai Taide stessa? Non può esser altri che lei. Che partito pigliarò io ora che giá mi hanno scoperto? Pur che debbo temere e che mi potrebbe ella far mai in cento anni ?

Taide. — Pizia, avviciniamocegli. Buongiorno, Doro. Uom dabbene, dimmi un poco, dopo aver fatta cosi bella prodezza te la togliesti, eh?

Cherea. — Signora si, ma che ci fareste voi? Il male è giá fatto.

Taide. —Parti aver fatto bene?

Cherea. — Signora no.

Taide. — Ti credi doverla passare cosi, senza castigo?

Cherea. — Perdonatemi questo sol errore e, se per l’avvenire commetterò misfatto alcuno, son contento che mi uccidiate con le vostre mani.

Taide. — Che ti spinse a fuggirtene? Forse la paura che hai avuta di esserne aspramente castigato da me?

Cherea. — Signora no.

Taide. — Di chi dunque hai avuto paura?

Cherea. — Di madonna Pizia, che non mi raccusasse

a voi.