Pagina:Boccalini, Traiano – Ragguagli di Parnaso e scritti minori, Vol. III, 1948 – BEIC 1772693.djvu/53

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della modestia vedendosi tanto vilipender da quella nazion spagnuola, le miserie della quale quattro giorni sono di modo compativa il mondo tutto, che anco per le chiese erano raccomandati alla caritá dei fedeli Cristiani, da’ quali si raccoglievano le elemosine per liberarli della misera servitú nella quale tanto infelicemente si truovavano oppressi dai Mori di Granata. Godono gli Spagnuoli il dominio della maggior parte d’Italia, dove dai miei pari, con tutto che ogni giorno ne minaccino una crudel e universale servitú, sono amati, onorati e fino serviti; essi con la loro portentosa avarizia ne hanno privati delle nostre facoltadi e nel sacco lacrimevole di Roma con la loro inesplebile libidine ne hanno levato tutto l’onore delle nostre pudicissime matrone; ora, che in contracambio di cosi proietta pazienza ne vogliano tórre anco questo poco che ne rimane onor di fumo di questi miserabili titoli, infelici avanzi e deplorande reliquie della riputazione italiana, è cosa tanto dura a digerirsi, che ogni onorato baron italiano si deve vendicare non con le querimonie delle parole, come faccio io, ma con la punta dei pugnali.

Riferiscono quei che si truovarono presenti a quest’atto che, appunto dal principio del ragionamento del signor Prospero, Apollo fece volto di ridere e che, quanto piú l’escandescenza del Colonna crescea, tanto maggiormente appariva in Sua Maestá l’allegria della sua divina e risplendente faccia, fintanto che, avendo il signor Prospero prorotto in quella troppo ardita parola, che gli strapazzi che gli Spagnuoli fanno degli Italiani si devono vendicare con la punta dei pugnali, proruppe in un apertissimo riso e disse: — Prospero, sei stato e sempre sarai troppo collerico; e son sforzato dirti, che in infinito rimango scandalizzato che un tuo pari, che sempre ha fatto particolar professione di prudenza, non sappia che gli schiavi, che per vent’anni in galera sono stati pasciuti di nero e fetente biscotto, quando s’abbattono in un forno di pan buffetto, a crepapancia sogliono empirsene. E quella loro tanto arrabbiata fame e ogni disonesto atto che si veggono usare per isfamarsi alli galantuomini che lo veggono in tanto non è odioso, che piú tosto muove loro la pietá. Però permettete