Pagina:Boetie - Il contr'uno o Della servitù volontaria.djvu/68

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54 il contr’uno

ciò non fosse, di certo io non vorrei mettermi la giornea per discutere la verità delle nostre storie: nè così minuziosamente purgarle, ch’i’ non togliessi quella nobil prerogativa, dove potrà bravamente far d’arme la nostra poesía francese, ora, non dico addobbata, ma a quel che pare, rimessa tutta a nuovo dal nostro Ronsard, dal nostro Baïf, e dal nostro Du Bellay, i quali in ciò nobilitano per forma la nostra lingua, che io da ora in là mi aspetto che, andando di questo passo, i Greci e i Latini per questo capo non potranno contrastarci altro che il diritto di priorità. E certo io farei gran torto al nostro ritmo (uso volentieri questa parola che a me non dispiace), perchè, sebbene parecchi lo abbian ridotto come a macchina, tuttavía vedo altrettanti che sono acconci a rinnobilirlo, e rendergli il pristino onore. Io, diceva, farei troppo torto a volergli torre que’ be’ racconti di re Clodoveo, ne’ quali vedo fin da ora come garbatamente e abbondantemente brillerà la vena del nostro Ronsard nella sua Franciade. Io so quanto il suo cavallo corre, conosco il sottile suo ingegno, e so quant’egli è grazioso e garbato: e’ saprà bene far suo pro dell’Orifiamma come i Romani de’ loro Ancili piovuti dal cielo, per dire come dice Virgilio: e’ farà ben giocare la nostra Ampolla, come gli Ateniesi il loro Canestro di Erisittone; e parlerassi delle nostre armi perfino nella rocca di Minerva. Sì, sì, sarebbe un peccato lo sbugiardare i nostri libri, e correr per nostre le terre de’ poeti. Ma, tornando al proposito, da me, non so neanch’io come, lasciato da parte, s’è egli mai dato il caso che i tiranni, per viver sicuri, non siensi ingegnati di tirare i popoli dalla loro, non pure avvezzandagli a una cieca ubbidienza, ma anche alla devozione?