Pagina:Boetie - Il contr'uno o Della servitù volontaria.djvu/69

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o della servitù volontaria 55

Le cose adunque da me sin qui noverate per insegnative di lieto servaggio, i tiranni le adoperan solamente colla minuta e matta plebaglia. Ma ora eccomi ad un punto, segreto secondo me, che è la molla della dominazione, il sostegno e il fondamento della tirannide. Chi pensa che le alabarde delle guardie, il metter sentinelle per tutto, guardino il tiranno, e’ dà stranamente in fallo: io per me credo ch’e’ se ne giovi più per cerimonia e per ispauracchio che per fiducia ch’e’ n’abbia. Gli arcieri vietano l’entrare in palazzo ai merendoni non buoni a nulla, non a chi è ben armato ed è uomo da fatti. È facile contar gl’Imperatori romani, e vedere che son meno quegli, che per ajuto dei loro arcieri hanno scampato il pericolo, di quegli altri ammazzati dalle lor guardie. Difesa del tiranno non sono gli squadroni de’ cavalli, non le schiere de’ fanti, non le armi, no; ma sono (e benchè sia vero, così a un tratto non si crederà) e’ son sempre quattro o cinque, che lo tengono su; quattro o cinque che tengono in servaggio il paese tutto. È sempre stato così: cinque o sei hanno avuto l’orecchio del tiranno, o ch’e’ si facessero innanzi da sè, o ch’e’ fosser chiamati da lui per complici di sue crudeltà, per compagni de’ suoi spassi, per ruffiani di sue voluttà, e per fare a mezzo delle sue rapine. Questi sei mettono il lor padrone per sì buona via che gli bisogna esser tristo per forza e flagello de’ sudditi, non solo per detto e fatto delle sue, ma anche delle loro tristizie. I sei poi hanno altri seicento che ingrassano sotto di loro; e fanno de’ loro seicento quel che i sei fanno del tiranno. I seicento si tengon sotto altri seimila, cui essi sollevano in gradi, facendo dar loro o governi di provincia, o maneggio di denari, affinchè e’