[St. 35-38] |
libro i. canto xvii |
311 |
Tutto è di fango il corpo e questa scorza:
L’anima non, che fo da Cristo expressa;
Nè ve maravigliati di mia forza,
Chè esso per sua pietà me l’ha concessa.
Lui la virtute accende, e lui la smorza,
E quella fede, che il mio cor confessa,
Quando si crede drittamente e pura,
De ogni spavento l’animo assicura.
Con più parole poi li racontava1
Sì come egli era il sir de Montealbano;
E tutta nostra fede predicava,
E perchè Cristo prese corpo umano;
Et in conclusïon tanto operava,
Che l’uno e l’altro se fie’ cristïano,
Dico Iroldo e Prasildo, per suo amore,
Macon lasciando et ogni falso errore.
Poi tutti tre parlarno alla donzella,
A lei mostrando diverse ragione
Che pigliar debba la fede novella,
La falsità mostrando di Macone.
Essa era saggia sì come era bella,
Però, contrita e con devozïone,
Coi cavallieri insieme, a la fontana
Fo per Ranaldo fatta cristïana.
Esso da poi con bel parlare espose
Che egli intendeva de andare al giardino,
Qual fatto ha tante gente dolorose,
E con lor se consiglia del camino.
Ma la donzella subito rispose:
Da tal pensier te guarda Dio divino!2
Non potresti acquistare altro che morte,
Tanto è lo incanto a meraviglia forte.
- ↑ Ml. li contentava.
- ↑ P. guarda, Dio divino!