[St. 27-30] |
libro i. canto xix |
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Diceva Astolfo: Star quivi non posso,
Ch’io me vo’ vendicar con ardimento
De quella gente, che mi venne addosso
E mi gettarno in terra a tradimento.
Io non serìa per tutto il mondo mosso,
E più de un millïon n’avrebbi spento,
Ma fui tradito da il falso Agricane:
Oggi l’occiderò con le mie mane.
Fa che aggia l’arme e prestami un destriero,
Chè incontinente giù voglio callare;
E ben ti giuro che al colpo primiero
Quindeci pezzi de uno uomo vo’ fare.
Prenderò vivo l’altro cavalliero,
Intorno al capo me il voglio aggirare,
Poi verso il cel tanto alto il lascio gire,
Che penarà tre giorni a giù venire.
Ballano et Antifor, che eran presenti
Quando in tal modo Astolfo braveggiava,
Nol cognoscendo per fama altrimenti
Ciascun fuor de intelletto il iudicava.1
Ambi eran po[n]derosi, ambi valenti,
E perciò ciascun l’arme adimandava.
Nel castello era molta guarnigione;
Presto se armorno e montarno in arcione.
Astolfo prima gionse alla pianura,
Sempre suonando con tempesta il corno;
Ben mostra cavallier senza paura,
Sì zoioso veniva e tanto adorno.
Ora ascoltati che bella ventura
Li mandò avanti Dio del cel quel giorno;
Chè proprio nella strata se incontrava
In un che l’arme e sua lancia portava.
- ↑ T. e Ml. era molta guarnisone.