[St. 27-30] |
libro ii. canto vii |
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Era costui feroce oltra a misura,
Ma legier di cervel come una paglia;
O ver guarnito, o senza l’armatura,
Battendo gli occhi intrava alla battaglia;
Nè della vita nè de onor si cura,
Chè sua ballestra non avea serraglia,
Dico, perchè scoccava al primo tratto:
A dire in summa, el fu gagliardo e matto.1
Or questi duo la gente saracina,
Dico Arcimbaldo insieme e Rigonzone,
Cacciano in rotta con molta roina.
Del re di Sarza in terra è ’l confalone,2
Ch’era vermiglio, e dentro una regina,
Quale avea posto il freno ad un leone:
Questa era Doralice de Granata,
Da Rodamonte più che il core amata.
Però ritratta nella sua bandiera
La portava quel re cotanto atroce,
Sì naturale e proprio come ella era,
Che altro non li manca che la voce.
E lei mirando, alla battaglia fiera
Più ritornava ardito e più feroce,
Chè per tal guardo sua virtù fioriva,
Come l’avesse avante a gli occhi viva.
Quando la vidde alla terra caduta,
Mai fu nella sua vita più dolente;
La fiera faccia di color si muta,
Or bianca ne vien tutta, or foco ardente.
Se Dio per sua pietate non ce aiuta,
Perduto è Desiderio e la sua gente,3
Perchè il Pagano ha furia sì diversa,
Che nostra gente fia sconfitta e persa.
- ↑ T. il.
- ↑ T. omm. è
- ↑ P. Nè par che altro le manchi.