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128 orlando innamorato [St. 47-50]

47 Onde io mi stimo il vero, anci son certa
     Che a tale impresa non potria durare;
     Ed io con teco, misera, diserta
     Dentro a quella acqua me vedo affogare,
     Chè noi siam gionti troppo a la scoperta,
     E non c’è tempo o modo di campare.
     Non è rimedio ormai: noi siam perduti,
     Come Aridano il fier ce abbia veduti. -

48 Il conte, sorridendo a tal parole,
     Disse alla dama ragionando basso:
     - Tutta la gente dove scalda il sole,
     Non mi faria tornare adietro un passo.
     Sasselo Idio di te quanto mi dole,
     Poi che soletta in tal loco te lasso;
     Ma sta pur salda e non aver temanza:
     Il ferro è il mezo a l’om che ha gran possanza. -

49 La dama ancor piangendo pur dicia:
     - Fuggi per Dio, baron, campa la morte!
     Chè il conte Orlando qua non valeria,
     Nè Carlo Mano e tutta la sua corte.
     Lasciar m’incresce assai la vita mia,
     Ma de la morte tua mi dôl più forte,
     Chè io son da poco e son femmina vile,
     Tu prodo, ardito e cavallier gentile. -

50 Il franco conte a quel dolce parlare
     A poco a poco si venìa piegando,
     E destinava dietro ritornare.
     Oltra quel ponte d’intorno guardando
     L’arme cognobbe che suolea portare
     Il suo cugin Ranaldo, e lacrimando:
     - Chi mi ha fatto - dicea - cotanto torto?
     O fior d’ogni baron, chi te me ha morto?

6. P. Xon c'è più tempo. — 7. P. Non e' è. — Itì. T., MI. e Mr. in (un?) mezo. — 24 P. omm. e. — 27. T. e Mr. omm. n.