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Pagina:Boiardo - Orlando innamorato III.djvu/186

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xxxiv prefazione


e mi sono ingegnato di ottenere coi mezzi ordinari l’intento, sì rispetto alla sintassi e sì rispetto alle parole, dando, naturalmente, a qualche segno una portata maggiore di quella che ha, e prendendomi delle licenze che non eccedono, per dir cosi, i termini della tradizione. L’uso di essi segni, d’altra parte, anche là dove può parere arbitrario, è sempre giustificato da ragioni che qui sarebbe lungo esporre minutamente; e così quello delle maiuscole.

Aggiungerò che, se m’abbattei in versi ipermetri, non mi arbitrai a considerarli senz’altro come errati, dato il loro numero veramente esiguo, ma posi tra parentesi la vocale che, secondo ogni probabilità, doveva nella pronunzia essere come fognata: del pari conservai le rarissime assonanze.

Per ciò che riguarda le rime imperfette, non sempre il codice si comporta allo stesso modo: di solito, ad appagare, dirò cosi, l’occhio del lettore accomoda l’ortografia della parola alla rima e scrive nara (narra), vano (vanno), disaggio, colona (colonna), parentella: ora invece non se ne cura, e fa rimare vanno con piano, prodeccia con magrezza, abunda con inonda e simili. Io mi credetti autorizzato a ritoccare in questi pochi casi il testo, reputando tali ineguaglianze come errori o sviste dell’amanuense.

Finisco pregando il lettore a tener conto delle poche aggiunte e correzioni che seguono, e a perdonarmi una dimenticanza: quella di porre in principio del primo volume la spiegazione delle quattro sigle T (codice trivulziano), Ml (’edizione del 1486). Mr (edi-