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XXXV

(50) Segue un altro brano, dove Gesù mostra agli apostoli il cielo e l’inferno, cioè un brano dell’Apocalissi di Pietro, secondo l’opinione comune. Il James tuttavia propende a vederci un secondo brano del Vangelo.

(51) Secondo Harnack solo la dipendenza da Marco sarebbe certa o quasi certa. Il Gardner-Smith non ammette neppur quella.

(52) Del Kerygma Petri (Doctrina Petri?) parleremo a suo tempo.

(53) Cfr. lo scholion in Lc. 1, 1 citato sopra. πολλοὶ μὲν οὖν ἐνεχείρησαν καὶ (τὸ) κατὰ Ματθίαν καὶ ἄλλα πλερονα..

(54) Strom. 11, 9, 45; III, 4, 26; VII, 13, 82; cfr. VII, 17, 108 dov’è detto ch’erano in grande onore presso i Basilidiani.

(55) Schatze-Πetermann, Berlin 1851, p. 69 ss.

(56) Cfr. lo scholion citato in Lc. 1, 1: ἔγραψαν καὶ Μανιχαῖοι κατὰ Θωμᾶν Εὐαγγέλιον, VI, 31 μηδεὶς ἀναγιγνωσκέτω τὸ κατὰ Θωμᾶν εὐαγγέλιον· οὐ γάρ ἐστιν ἑνὸς τῶν δώδεκα ἀποστόλων, ἀλλ᾿ ἑνὸς τῶν τριῶν κακῶν τοῦ Μάνου μαθητῶν.

(57) Catech. IV, 36

(58) Ciò spiega forse l’errore in cui è caduto Cirillo di Gerusalemme: «nimirum quem ille librum apud Manichaeos imprimis in usu esse noverat, eum ab iisdem compositum ex coniectura arbitrabatur» (Tischend).

(59) Nel catalogo delle scritture manichee, redatto dal presbitero Timoteo (86, 21), occupa il nono posto.

(60) Sui rapporti di questo apocrifo con l’antico vangelo gnostico secondo Tommaso vedi più sotto, B, 3.

(61) Vedi l’articolo riassuntivo di P. Savi in «Rev. bibl.» I, 1892, pagine 321-344.

(62) In E. Hennecke, Apokryphen,² p. 56.

(63) Vedi White p. XXIV s. Ma il Reitzenstein, per esempio, e il Waitz (in Hennecke, Apokryphen2, p. 51) non accettano tale opinione, che è a loro avviso affatto inverosimile.

(64) Come pure, in parte, del Waitz, rispetto ai Λόγια del secondo papiro.

(65) Ad esso il Waitz non sarebbe troppo alieno d’attribuire i Λόγια del pap. n. 1.

(66) Ipotesi che non dispiace al Reitzenstein quanto ai Abyia del secondo papiro.

(67) Cfr. Wendland, ῏῏Die urchristl. Literaturformen῏῏, p. 233.

(68) Anche da fonti non cristiane. Cfr. Aimé Puech, Histoire de la littér. grecque, I p. 171, nota 2.

(69) L’Occidente fu più restio ad ammetterli. Benché già Zeno da Verona e il poeta Prudenzio attingano senza scrupolo al Protovangelo di Giacomo, i più influenti scrittori cattolici del IV e V secolo videro assai di mal occhio quei vangeli (S. Girolamo non dubita parlare di «deliramenta apocryphorum», «apocryphorum somnia») o per lo meno con sospetto (Sant’Agostino nega loro ogni autorità «non habent.... ullum pondus auctoritatis»), né mancarono anche esplicite condanne da parte dell’autorità ecclesiatica. (Cfr. Innoc. I ep. ad Exsup. 7: «Cetera autem [cioè i libri extracanonici].... non solum repudianda, verum etiam noveris esse damnanda»). Ma a poco a poco riuscirono tuttavia a farsi valere e imporsi. Appena trent’anni dopo la condanna di Innocenzo I (a. 405), i musaici di Santa Maria Maggiore in Roma, ordinati da Sisto III, si abbellivano di particolari derivati dagli apocrifi.