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Non molto più tardi Gregorio di Tours († 594) e lo Pseudo-Crisostomo (c. 600) spigolavano parimenti nei vangeli apocrifi. Nel Medio Evo poi il loro trionfo può dirsi completo (ricorda: Hroswitha † 968; lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, 2ª metà del sec. XIII; la Legenda aurea di Jacopo da Voragine, fine del sec. XIII, ecc.), non ostante le riserve di taluni, come Alcuino, S. Pietro Damiani, S. Bernardo, S. Tommaso d’Aquino. Vedi Tappenhorn, p. 18. Anche nel Corano e in altri scritti mussulmani l’influsso dei vangeli apocrifi si mostra assai largo.

(70) Il testo greco fu stampato primieramente da Michele Neander in «Apocrypha», h. e. Narrationes de Christo, Maria, Joseph, cognatione et familia Christi extra Biblia, come seguito alla Catechesis Martini Lutheri parva graeco-latina, Basilea 1564-1567.

(71) Diffusione e popolarità attestata anche dall’uso assai largo del Protovangelo nell’agiografia, liturgia, poesia e arte greca orientale. Non se ne conosce invece nessuna antica versione latina; ma ciò non vuol dire che non sia esistita: cfr. più sotto lo Pseudo-Matteo e il Vangelo dell’Infanzia del James, nonché l’Evangelium nomine Jacobi minoris, e il Liber de infantia Salvatoris et de Maria vel obstetrice condannati dal decreto Gelasiano.

(72) Il racconto della morte di Zaccaria nel Protovangelo è affatto diverso da quello di Origene, che pur conosceva il «libro di Giacomo».

(73) Papiri della Società Italiana I, 1912, pp. 9-16.

(74) Anche il «Vangelo latino dell’infanzia» pubblicato dal James (vedi più sotto, il numero 5) riproduce la storia di Zaccaria quale è data nel Protovangelo, e allude al silenzio della natura descritta nell’«apocrifo di Giuseppe».

(75) La più lunga, che è anche la più antica, fu pubblicata integralmente la prima volta (di su un codice bolognese del sec. XV) da G. L. Mingarelli in Nuova raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, tomo XII, Venezia 1764, pp. 73-155. La seconda fu trovata dal Tischendorf in un manoscritto del XIV-XV secolo presso i monaci del Monte Sinai. La terza, che è l’equivalente del Thomas latino, è stata pubblicata da A. Delatte nel suo recente volume Anecdota Atheniensia I (Bibl. de la Faculté de Philol. et Lettres de l’Université de Liège XXXVI): cfr. M. R. James, The Gospel of Thomas in «The Journ. of theol. Studies» 1928, n. 117, pp. 51-54. Tutti i pochi codici greci che abbiamo dello Pseudo-Tommaso sono d’età assai recente. Più numerosi sono i codici latini, ma anch’essi di tarda età (salvo il palinsesto di Vienna).

(76) Il Vangelo si chiude con la disputa di Gesù tra i dottori al tempio.

(77) A. Meyer ritiene non inverosimile che le storielle dell’apocrifo siano di importazione indiana, e che a ciò si debba l’attribuzione del medesimo a Tommaso, l’apostolo tradizionale dell’India; «e forse il filosofo israelita è subentrato al posto d’un filosofo indiano, cioè d’un Bramino» (Hennecke, Apocryphe, vo p. 95).

(78) cfr. A. Meyer, l. c.

(79) Il testo latino (cod. Sinaitico) ha: Thomam.... Ismaelitam et apostolum (cod. apostolos) domini». M. R. James inclina a credere che la lezione Ismaelitam, invece di Israelitam sia l’originale, e che la combinazione «Ismaelita» e «filosofo» suggerisca una voluta connessione con i savi del lontano Oriente.