sorge chi d’immortale gloria sia degno, non altri accagio
nare dobbiamo, che noi medesimi, non ad altri ne tocca il
biasimo che a noi stessi. Avversa o lieta si volge fortuna,
niuna cosa vietare ci potrebbe di aggiugnere animo ai generosi intelletti dando loro guiderdone di schiette lodi, se il
verme della invidia non rodesse molti nel petto, se molti
non prendessero dolore dell’altrui gloria come di lor vergogna. Questa è la cagione che insterilisce le menti italiane;
e a si gran male non sarà alcun riparo, finchè i veri savi
non levino arditamente la voce per far segno all’obbrobrio
de’ presenti e de’ venturi tutti coloro, che adoperando
occulte arti, e maligno e falso parlare, tolgono ai buoni
il meritato premio delle bene poste fatiche - La grazia
che Laura degnamente trovata aveva nell’universale, le
durò immutabile finchè visse. Se personaggi di conto giu
gnevano da lontane parti a Bologna, tosto venivano condotti
a Laura, siccome a colei, che dava bella testimonianza
del senno italiano. Dell’amicizia sua si onoravano uomini
prestanti per dottrina e per dignità, e gli stessi stranieri
difficili lodatori degli italiani, scrivendo o parlando levavano
a cielo la virtù di lei. Imperocchè vedendo come in tanta
celebrità, quanto era quella, cui era prevenuta, in niente
aveva mutate le mansuete maniere, ma dolce negli atti,
benigna nel conversare parea, che a studio cercasse di
nascondere, o di abbassare le rare doti della sua mente,
tutti si convenivano nell’affermare essere per non consueta
liberalità de’ cieli raccolto in lei quanto in valorosa donna
comanda venerazione ed amore. Ma se la virtù di Laura
risplendeva di maravigliosa eccellenza, straordinari ancora
furono i premi che ne raccolse. Conciossiachè toccando
appena il ventesimo anno le fu dal Senato conferita una
cattedra di Filosofia nella Università. E bene si parse come
quest’ufficio fosse in persona degnissima collocato: chè