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Via più che ? mio tormento, l’altrui dolor m’accora. Onde non è meraviglia se, vinta dall’acerbità del dolore, che n’è la prima cagione, brama che la morte gli dia fine: or vegna, vegna la morte, e di sua mano gli occhi serrando, ella m’asciughi il pianto. La seconda cagione è l’orror della colpa. A Celia, che fu sempre per lo innanzi nemica d’amore, parea d’esser impura solo perch’ella era innamorata di due; paréale d’esser infedele all’uno perché amava l’altro; paréale d’esser crudele ad am- bidue perché l’uno e l’altro fuggiva. Si che, spaventata dal- l’orror che a quella ben nata animetta s’appresentava delle sue colpe, che maraviglia se quel che a’ malvagi dice Aristo- tale n’avviene, a lei parimente avvenisse, onde se stessa odiando, e fuggendo, (me stessa, e non altrui ho pur in odio e fuggo) (Atto I, se. 3). per la più diritta strada che c’è di fuggir da se stesso, alla morte s’incamminasse? La terza cagione è la disperazion di poter o adempire o deporre la brama impaziente. La brama in lei era ardentissima: G ardo, i’ ardo, io son tutta di fuoco. (Atto III, se. 1). L’adempirla era impossibile: Godrٍ d’un sol? Non mei consente amore. O d’ambidue? Amore e ? ciel mei vieta.