Pagina:Bonarelli, Guidubaldo – Filli di Sciro, 1941 – BEIC 1774985.djvu/334

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33P nota tica del Seicento. A nessuno sfuggirà come, per giustificare un caso psicologico meno strano di quanto si possa a prima vista pen- sare (i), e che ad ogni modo nell’arte poteva sempre trovare la sua giustificazione, l’autore non si periti di disturbare Piatone, Aristo- tile, Pitagora, sant’Agostino, lo Scoto, il Molina! Per il testo, abbiamo seguita l’edizione del 1612, non senza tenere presenti anche quelle del 1690 e del 1703. Solo si è creduto opportuno di sostituire alle numerose particene (paragrafi) in cui la trattazione è divisa una semplice numerazione romana. In appendice si riporta una serie di componimenti che hanno riferimento alla Filli. E prima di tutto il prologo La Notte del Marino, che vuoi esser come una preparazione alla favola, la cui azione s’inizia col mattino. Ignoriamo se esso sia stato scritto per qualche particolare rappresentazione della pastorale, com’è proba- bile; esso appare per la prima volta nell’edizione milanese del 1612 (n. 6), ed accompagna poi la Filli in tutte le ristampe successive. Meno noto il prologo del Testi, scritto per una rappresentazione fatta a Sassuolo, nella villeggiatura degli Estensi eretta dal duca Francesco I. Non sappiamo la data precisa, ma poiché la costru- zione della «delizia» s’iniziٍ nel 1634 e fu ultimata solo qualche anno dopo(2), e poiché il prologo usci nella terza parte delle rime del Testi (3), data in luce dai figli nel 1648, due anni dopo la morte del poeta, non par difficile conchiudere ch’esso deve risalire agli ultimi anni dell’autore. C’è di più. Potremmo senz’altro fissarne al 1639 la composizione, se, come pare quasi certo, al componi- mento in parola si riferiscono queste righe d’una lettera scrítta dal Testi al duca dalla sua villa di Nizzola il 30 agosto 1639: « II prologo è cominciato; ma per questi caldi la vena è secca; e dub- bito appunto di non dar nelle seccagini. Ma il merito dell’ubbi- dienza del supplire al difetto dell’ignoranza» (4). (1) II Campori (op. cit. ?. 58) ricorda che il Bonarelli « non avverti un argo- mento principale di giustificazione, cioè che molti anni prima di lui Luigi Alamanni aveva sperimentato in sé come vero ed effettivo quel doppio affetto ch’egli aveva finto nel cuore della sua Celia». Ma non si dimentichi che nei Discorsi sono ripor- tati dei versi da un’elegia dell’Alamanni per Cinzia e Flora. (a; Cfr. A. Vknturi, Affreschi nella delizia estense di Sassuolo, in L’Arte, 1917. (3) Poesie liriche, parte terza, Modena, Cassíani, 1648. (4) Riferita da N. Cionini: Teatro e arte in Sassuolo, Modena, Forghieri, 1903, pp. 24-26.