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samente vincono, eroicamente muoiono — del Paese che guarda con orgoglio al Re sempre vigile fra le armi e pronto sempre ad incuorarli arditamente — del Paese che, alieno dalle politiche schermaglie e dalle divagazioni infeconde, chiede a gran voce il compimento delle rivendicazioni italiane, la restaurazione del diritto delle genti e la riconsacrazione dei principii dell’umano consorzio oggi barbaramente violati.

Dei suoi figli combattenti l’Italia può essere fiera, fiera della sua guerra, fiera del contributo che le sue armi portano alla causa comune.

I nostri nemici colla formidabile offensiva nel Trentino, quasi contemporanea a quella di Verdun, nome ormai sacro al valore francese, si illudevano di conseguire la vittoriosa decisione della guerra. Ma il valore dei nostri soldati, la grande e serena energia del Comandante Supremo, che segnò una pagina memorabile nella classica arte della guerra, frustrarono il tentativo austriaco.

Il nemico fu dai nostri prodi trattenuto e a sua volta attaccato, e respinto; oggi egli è ancora affacciato alle porte d’Italia; ma stanno a guardia colà i nostri intrepidi soldati; ma le salde difese apprestate di contro all’invasore debelleranno appieno — se ritentata — la tracotante impresa. (Vivissime approvazioni).

Nè due mesi erano scorsi dal fallito assalto del nemico quando le nostre armate dell’Isonzo furono, con fulminea rapidità, lanciate ad affrontarlo ardimentosamente. Allora si superarono quelle che parevano insormontabili difese; e si strappò allora alla lunga usurpazione degli Asburgo, Gorizia, la città delle loro predilezioni