Pagina:Brambilla - Sopra le Odi di Orazio tradotte da Mauro Colonnetti.djvu/19

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NOTE.


(1) Io mi sono proposto di esaminare due sole Odi, e però non posso mettere in campo tutti i luoghi del testo, che il Colonnetti ha migliorato; ma bene giudicò il signor Temistocle Solera, giovane colto e di nobile ingegno, che molte volte il nuovo traduttore pone innanzi il piede ad Orazio. Può a suo talento certificarsi di questo incontrastabile vero ognuno che possegga un po’ più di giudizio, di buon gusto e di perizia nelle lingue italiana e latina, che non mostrò il signor Jacopo Cabianca in quella sua scrittura pubblicata nel giornal milanese, intitolato: Glissons, n’appuyons pas. Fra gli altri appuntamenti, che egli fa all’ode decimaquarta del libro primo, dice esser «male aggiunta la parola sciogliere all’integre vele, giacchè la nave avevale di già sciolte, ed il male stava in ciò ch’esse erano state volte dai venti». Signor Giacomo, vi manderemo alla scuola d’Orbilio a imburchiare un po’ meglio le coniugazioni de’ verbi; avvegnachè per non sapere che referent è futuro, vi lasciaste sdrucciolare, per dirla all’omerica, dalla chiostra dei denti uno sproposito da cavallo. Il Venosino, vedendo i Romani, non ancor domi dalle disgrazie patite per le recenti guerre civili, macchinar novelle sommosse, prende a svolgerli da intenzione così funesta. E, forse per non accattarsi odio, lor favella sotto velame allegorico; ponendo la nave per la repubblica, le tempeste ed il mare per le discordie intestine, il porto per la tranquillità che essi allora godevano. E: O nave (le grida) vorrai tu di bel nuovo arrischiarti alla discrezione de’ venti, ora che stai nel porto così malconcia dalle passate burrasche? non far per Dio! sta salda, ove tu sei: occupa portum. Dunque la nave non avea sciolto le vele, ma stavasi ancóra nel porto; poichè il poeta la consiglia a non discostarsene punto; dunque il Colonnetti ha inteso il concetto d’Orazio assai bene. Mi ha poi fatto sbellicar delle risa la vostra censura al verso: Giove al tonar che è re del ciel fa fede. Voi dubitate se sia tutta soavità; credo io, per li monosillabi, ond’è composto; e mi recate alla memoria la risposta che un pedante Scolastico fece un giorno al Petrarca, che l’avea chiesto, perchè vituperasse il secondo lume de’ Latini, Virgilio. È soverchio (disse colui) nelle congiunzioni. I monosillabi, quali che sieno essi, aiutano la dolcezza del ritmo; il fatto sta nel saperli collocare in modo che diano consolazione all’orecchio, evitando i troppo duri e spessi accozzamenti delle lettere consonanti e delle sillabe per la loro uniformità cacofoniche; come nel verso del Gargallo: Tien regno, il tuon creder ci feo primiero sono que’ tien, tuon, re, cre, pri, ro, che fanno una musica disperata. Nella traduzione del Colonnetti ho notato io pure alcun verso, che pecca in ciò; ma il citato da voi, non può dispiacere a nessuno, tranne chi ha la smania di contraddire alle opinioni sensate. Il trattenermi a ribattere le altre vostre censure mi parrebbe gittata opera; più tosto vi sia di giovamento avvisare la stravagantissima interpretazione gargalliana del Coelo tonantem credidimus lovem Regnare. Orazio vuol dire: Noi sogliam credere che Giove regna nel cielo,