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G. | C. |
Che a’ fiumi, e a’ venti col materno dono |
Ch’ei per materna alta virtù potea |
Nelle strofe del Colonnetti tutto mi piace, tranne le parole certa governa per l’uniformità delle lor desinenze; e l’obbedienti, che áltera il concetto d’Orazio; il quale col bel grecismo blandum ducere volle significare che Orfeo sì divinamente cantava, che fino alle querce n’eran prese d’amore, e volontariamente il seguivano. Ora nell’ubbidienza è sempre un non so che di sforzato e dispiacevole a praticarsi. Nelle strofe del Gargallo, oltreché l’avvincer l’impeto ai fiumi ed ai venti non è buona metafora; la frase diede moto alle querce non accenna che Orfeo se le traesse dietro; perchè uno può muoversi senza seguire un altro. Perciò la viva imagine oraziana scompare; anzi mutasi in una quasi ridevole fantasia. Come no? dove il poeta latino ci presenta le querce affollarsi vogliosamente su le orme d’Orfeo; il Gargallo le fa saltabellare come una ragunata di villanotte quando menano il ballonchio a suono di pifferetti.
Nelle due strofe susseguenti i traduttori nostri gareggiano alla lode del meglio. Vero è che il Colonnetti nella dolcezza e nell’armonia (virtù quasi ignote alla musa napolitana) si mostra - Quegli che vince, e non colui che perde.
G. | C. |
Alcide, e i figli canterò di Leda, |
Canterò Alcide, e i gemini Ledei, |
È dissensato ad ogni sapore di buono stile chi non preferisce questa versione del Colonnetti; e non confessa la scabrosità di que’ troncamenti destrier, lottar, gran, nocchier, risplender ammassati dall’altro. Al quale dimanderemo eziandio che cosa voglia significare esser mastro in destrieri? L’elegante grecismo: nobilem superare equis dinota la valentia di Castore negli equestri combattimenti; ma il crearlo maestro in cavalli, o (per non favellare alla barbara) di cavalli, non è altro che avvilirlo al mestier del cozzone o del maniscaldo, o, al più, del cavallerizzo. E qui giovi osservare che anche l’espressione del Colonnetti: invitto al corso è ambigua, perchè mal ci chiarisce se Castore fosse invitto nel corso a piedi o nel corso a cavallo; nè bene interpreta il testo; ove si loda l’equestre bravura del detto figlio di Leda, che guadagnò chiara fama tra gli Argonauti. Anche Omero lo chiama Κάστορά ιππόδαμον; il qual aggiunto (da Virgilio poi frequentato a commendare la molta prodezza di celebri cavalieri) con verità si conviene a chi stanca i cavalli battagliando valorosamente sovr’essi.