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98 la cena de le ceneri


la pratica circa le azioni morali. Avendo dunque il divino legislatore questo scopo avanti gli occhi, nel resto non si cura di parlar secondo quella verità, per la quale non profittarebbono i volgari, per ritrarsi dal male, ed appigliarsi al bene, ma di questo il pensiero lascia agli uomini contemplativi, e parla al volgo di maniera, che secondo il suo modo d’intendere e di parlare venghi a capire quel ch’è principale.

Smi. Certo è cosa conveniente, quando uno cerca di far istoria e donar leggi, parlar secondo la comune intelligenza, e non esser sollecito in cose indifferenti. Pazzo sarebbe l’istorico, che, trattando la sua materia, volesse ordinar vocaboli stimati nuovi, e riformar i vecchi, e far di modo, che il lettore sii più trattenuto a osservarlo ed interpretarlo come grammatico, che intenderlo come istorico. Tanto più uno, che vuol dare a l’universo volgo la legge e forma di vivere, se usasse termini, che le capisse lui solo ed altri pochissimi, e venisse a far considerazione e caso di materie indifferenti dal fine, a cui sono ordinate le leggi, certo parrebbe, che lui non drizza la sua dottrina al generale ed a la moltitudine, per la quale sono ordinate quelle, ma a’ savii e generosi spirti, e quei, che sono veramente uomini, li quali senza legge fanno quel che conviene. Per questo disse Alcazele, filosofo, sommo pontefice e teologo macumetano, che il fine de le leggi non è tanto di cercar la verità de le cose e speculazioni, quanto la bontà de’costumi, profitto de la civilità, convitto di popoli, e pratica per la comodità de l’umana conversazione, mantenimento di pace ed aumento di repubbliche. Molte volte dunque, ed a molti propositi è una cosa da stolto ed ignorante,