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castagni e di faggi. Dell’altra metà la maggior parte rimaneva quasi incolta per difetto di braccia per coltivarla a cereali, ed anche per la miseria e lo scoraggiamento dei suoi abitatori che da molti anni eran divenuti così infingardi ed inoperosi, che invece di applicarsi colla necessaria costanza a dissodare e coltivare le loro terre, le abbandonavano incolte e preferivano emigrare un sei mesi dell’anno in altri paesi ove il guadagno fosse più facile e sicuro e quindi ritornavano a casa a consumare in gozzoviglie quanto aveano potuto avanzare lavorando all’estero. Tali sono i lamenti che sulla condotta dei loro vassalli si fanno dai monaci: e diffatti così stando le cose facilmente si capisce che non potessero farsi pagare le decime dovute. Queste in quest’epoca consistevano per gli abitatori oriundi di Seborga nel tredicesimo dei raccolti, per quei di Vallebona che possedevano terre a Seborga nel novesimo. Il diritto del macinate era del sedicesimo, quello del forno del 32, quello del torchio del 4. I diritti di laudemio per vendita o permuta erano del 8%.

La popolazione dividevasi in 40 fuochi e si componeva di 190 individui, oltre le famiglie di Vallebona. Il paese era circondato da mura, ma molte delle case erano pressochè inabitabili. Un rapporto del Podestà dell’anno 1640 dice che la maggior parte di esse eran costrutte con fango al posto della calce, Il solo edifizio che avesse apparenza signorile era il palazzo abbaziale ricostrutto pochi anni prima con una spesa di 3200 lire. Era aggregato al palazzo un piccolo podere detto la Braia che dava il reddito di circa 200 lire. Non lungi era la chiesa parrocchiale dedicata a S. Martino, da poco costrutta e la casa parrocchiale. Li presso stavano il forno, il molino ad olio, il torchio per le uve. Fuori le mura erano il molino a grani di recente costru-