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deputato.


Dovendo parlare di un uomo della mente e del patriottismo del Ranieri, cui, bisogna dichiararlo aperto, l’Italia va debitrice di libri tanto dotti quanto ispirati dal più sviscerato amore di lei, di un uomo infine di cui Leopardi fu l’intimo amico, non si saprebbe essere abbastanza esatti, nè abbastanza estesi. Quindi è che precedendoci a guida un’operetta scritta con molta sapienza, e calore del signor Francesco Chieco, della quale avremo più d’una volta occasione di citare intieri squarci, ci faremo intorno a questo chiaro e benemerito personaggio quel più e quel meglio che potremo.

Il Ranieri è nato in Napoli, da famiglia agiata e civile, il dì 8 settembre del 1806, e studiò in quella università, fino al 1820 in cui, dopo il tradimento di Ferdinando I di Borbone, il giovinetto, che dava già ombra a quel governo sospettosissimo, veniva dal padre allontanato dalla città nativa, per visitare Roma, Bologna e Firenze.

In questa metropoli, nella quale allora eransi refugiati tanti illustri italiani, quali il Colletta, il Pepe, il Poerio e il Tommaseo, il Ranieri si fece uno studio particolare di perfezionare i suoi apprendimenti filologici, nel tempo stesso in cui apparava la saviezza e la fermezza civile, da quegli egregi che frequentava assaissimo, e che ebbero a concepire di lui le più liete speranze.

Dopo un breve soggiorno a Bologna, durante il quale, ebbe lezioni da quel sommo linguista che era il Mezzofanti, il Ranieri passò in Francia, ove ebbe ad amici oltre gl’italiani Botta, Scalvini ed Ugoni, i francesi Guizot, Cousin, Constant, Villemain, e Thiers, ma sovra ogni altro, il Tracy, il Lamennais e Lafayette, assistendo assiduamente alle lezioni, che alcuni di questi sommi davano alla Sorbona.

Ranieri, durante il suo soggiorno, fu testimonio della celebre rivoluzione di luglio, la quale valse a