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«Erano circa le undici antimeridiane: io vidi avanzarsi dalle pianure del Zapevi verso le alture ove mi trovava un considerevol numero di nemici a cavallo; quasi nel tempo stesso m’accorsi che ciaschedun cavaliere portava in groppa un fantaccino. A corta distanza infatti dalle colline ove io mi trovava quei cavalieri misero i fanti a terra, i quali subito si ordinarono per marciare contro di noi.
«La nostra cavalleria aprì il fuoco contro il nemico, ma esso, superiore infinitamente di numero, la caricò e presto la mise in fuga; fuggendo, questa si diresse verso il nostro zapera, fino al quale già arrivavano le palle dell’avversario.
«Comprendendo allora che la vera resistenza doveva esser fatta dai miei legionari, e che laddove essi sarebbero avverrebbe la pugna, mi slanciai nella loro direzione; ma mentre arrivava alle prime file in mezzo al fuoco ostile, sentii tutt’a un tratto mancarmi sotto il cavallo, il quale cadendo mi trascinò seco a terra.
«Mi sorse subito in mente l’idea che la mia gente potesse credermi morto e che tal credenza valesse a sgominarli. Ebbi quindi la presenza di spirito nel cadere di togliere dalle fonde una pistola, e rialzandomi subito di esploderla in aria, onde si sapesse da tutti che io era sano e salvo. Mi si vide appena, di fatto, a terra, che già mi si scorse ritto in piedi tra le file de’ miei bravi.
«In questo mezzo il nemico andava ognor più avanzandosi con mille e duecento uomini di cavalleria e trecento d’infanteria, mentre che noi, abbandonati dai nostri cavalieri, eravamo appena un cento novanta in tutto.
«Non aveva, certo, tempo di fare un lungo discorso, d’altronde il farli lunghi non mi garba. Alzai, dunque la voce e non dissi che queste parole:
«— I nemici son numerosi e noi siam pochi; tanto meglio! chè meno siamo, maggiore sarà la nostra gloria. Vi raccomando la calma! Non si faccia fuoco che a brucia-petto, eppoi alla bajonetta!
«Queste parole erano volte ad uomini sui quali ogni accento produceva l’effetto della scintilla elettrica.