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GIOVE
Fra gli altari di Giove e i pingui fumi1
Che si addice cantar se non lui grande
Lui domator di Flegra e re de’ numi?
Il cor t’inforsa qui se te domande
Ditteo Giove o Liceo; diverso grido
Di tuo loco natio la Fama spande,
Ed or l’Arcade suol chiama tuo nido,
Or la pendice Idea; quando raccoglie
Il vero? O labbro de’ Cretesi infido,2
Che scritto al sommo di funeste, soglie
Hanno il tuo nome! Tu vivi né Parca
Stenderà sua ragion su le tue spoglie.
Nel Parrasio ove Rea fu di te scarca
Santa è una parte d’ogni luce muta,
Che il dì per le conserte ombre non varca.
Da indi in qua non fu donna venuta
Nè fera sotto la frondosa chioma
Nel tempo di gridar: Lucina ajuta:3
Vecchia fama degli Arcadi la noma
Il talamo di Rea, che quando scosse
Dal grave fianco la divina soma,
Con ardente desio cercando mosse
Un limpido ruscello a mondar quanto
Nel narvoletto e in sè da mondar fosse.
Non di Ladone il rio, non d’Erimanto
La chiara onda correa, di fonti e fiumi
Povero dell’Arcadia era ogni canto,
La qual dall’ubertà de’ suoi cacumi
Nella stagion che Rea la zona solve
Tauti dovea versar d’acque volumi.
Cal. e An.