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Debitamente delle eteree rote
Fu conceduto a te lo scettro eburno;
Di vecchia opinion son false note,
Che sorteggiando i figli di Saturno
Partirono gl’imperi; e fia chi pogna
L’inferno a par del bel tempio diurno?
Di cose uguali sorteggiar bisogna,
(Troppo è dal Cielo alle contrade morte)
Nè mentir ciò che ha faccia di menzogna.
Te le animose man no l’orba sorte
Forza e virtù, che sempre è tua vicina
Han fatto re delle celesti porte.
La generosa degli augei regina
De’ tuoi decreti messaggiera eleggi,
Giove, nel ben de’ miei fidi gl’inchina.
Tu no le cetre o le battaglie reggi
Hanno di ciò pensier numi minori,
Tu quei, che affrenan le città, francheggi,
In potestà de’ quai sono cultori
Nocchier guerrieri ogni del mondo parte,
Che non possono in terra imperatori?
Artefici a Vulcan, guerrieri a Marte,
Venatori a Diana, a Febo sacri
Sono i maestri della liric’arte,
A Giove i re, che specchi e simulacri
In terra sono de’ celesti numi;
Però tu li governi e in soglio sacri,
E dalle torri con intenti lumi
Scerni chi regge con paterna cura,
E chi n’accora di crudei costumi,
E dispensi tesor, nè con misura
Uguale a ciascun re, vedi lo duce6
Nostro, che abbatte ogni regal ventura.
Suoi consigli a fornir basta una luce,
Non bastan molti altrui giri di Sole,
Altri l’impresa a termin non adduce.