![]() |
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. | ![]() |
E si mangia una belva: in lui la voglia,
Che sa Teodamante, non vien meno 3
Perchè su in cielo abbia mutata spoglia.
Alle quadrighe tue sciolgono il freno
Le ninfe dell’Amniso, o dalle valli
Tornano di Giunon col grembo pieno
Di ferace trifoglio, onde i cavalli
Si pascono di Giove, o in vasi d’oro
Mescono limpidissimi cristalli.
Traggi qui de’ celesti in mezzo il coro,
Nel soglio suo t’invita ogni immortale,
Tu siedi presso del fraterno alloro;
Quando per te le ninfe aprono l’ale
Presso i fonti d’Inopo, o i cervi aggioghi
Per l’are visitar di Limna o d’Ale,
Con cui mutasti i detestati luoghi
Della Scitica Tauri e il ríto diro,
Ad arator non crederò miei gioghi;
Fosse quantunque il buon seme d’Epiro
Madre di tauri alle robuste corna
Infermi tornerian dal lungo giro;
Le belle danze a vagheggiar soggiorna,
E tardi il Sol la sua quadriga inchina
In mar di occaso e lungamente aggiorna.
Qual pendice di mare, o qual collina
Più ti diletta, o Dea, quai porti o ville?
Qual ninfa avere o semidea vicina?
Tu lo mi narra, io ridirollo a mille:
Ami il porto d’Euripo anzi ogni seno,
In cui giaccion di mare onde tranquille,
Ami di Taigeto il colle ameno,
Ami Perga città, dell’isoletta
Dolica brami ogni altra isola meno.
Avesti caramente anco diletta
Britomarti gentil ninfa Cretese,
Che in fallo mai non allentò saetta;