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In cui Minos di tal desio si accese,
Che misurò con peregrine piante
Tutte di Creta le vette scoscese.
Ella sedeva all’ombra delle piante,
O correva a palude oscura ed ima,
Ei nove lune andò pei monti errante,
Nè di seguirla si rimase prima,
Che sendo poco andare ad esser presa
Si dirupasse in mar da un’alta cima.
Non fu dall’acque traboccando offesa,
E viva ritornò dentro una ragna,
Che in quel mar pescatori avean distesa;
Da l’ora in poi Dittinna la montagna,
E Dittinna la ninfa si domanda, 4
Ed ivi altari a lei vittima bagna.
Di lentisco e di pino al crin ghirlanda
Fanno le genti in questi dì, ch’io dico,
Nè di foglie di mirto uom s’inghirlanda.
Ai panni fè della fanciulla intrico
Di mirto un ramoscel mentre fuggiva,
Da indi in qua non le fu il mirto amico.
Bella di faci portatrice Diva,
E tu pure chiamata nel costei
Nome rispondi alla Cretese riva.
Cirene amasti, e due molossi a lei
Desti, per cui nella Peliaca sponda
Del vello d’un lion portò trofei.
Le foreste destò teco la bionda
Procri con Anticléa, che si rinoma
Quanto le tue pupille a te gioconda;
Vergini, che dapprima imposer soma
D’arco veloce e di faretra al destro
Omero nudo e alle svelate poma:
Godea seguirti per cammino alpestro
Atalanta leggiera, e da te prese
Quadrella ed arco di ferir maestro.